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un libro semplice...Per il gatto fu l’ultimo giorno con Ber.
{ domenica 28 settembre 2008 } un libro semplice...Giacomo –Parte Quarta Dammi un bacino Ber lo scrittore –Parte Seconda Ber lo scrittore –Prima Parte |
{ domenica 21 settembre 2008 }
Un libro semplice
2008
Dichiarazioni senza Appello
Adoro tutte le Azzurre
Mi piacciono le parole: Eskimo, Gindobre, KaKosi, Baritonale…
Mi piace il rumore del piede sulla neve
Mi piacciono i nomi: Djamel e Joshua
Mi piace il rumore della terra spalata, l’odore dei cantieri edili e dei binari del treno
Non mi piace la nebbia che mi fa venire il mal di testa
Non mi piacciono gli scatti d’ira e ancor più gli scatti di autocontrollo
Ho paura dei mezzi di trasporto specialmente se hanno meno di quattro ruote
Ho terrore dell’acqua del lago e del Bianco
Da piccolo identificavo la Colpa come una polpetta verde
Credevo che lo scrupolo fosse un pezzo di intestino e che il popolo fosse la palla ovale portata sulla spalla, vicino all’orecchio
PS:
mi piacciono le nespole
A Martika e ad Aleena
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Seconda di Alice
Alice ricevette la sua prima penna “buona” per il nono compleanno.
Corse in camera e tornò subito indietro: doveva ringraziare; l’aveva già fatto, ma aveva desiderato quella penna così tanto che non le sembrava mai abbastanza farlo. Una volta sola non era sufficiente.
Riuscì a chiudersi in camera e liberare il potere magico della penna.
Disegnò la copertina, nascondendosi da fantasiosi occhi-spia, e poi, stanchissima s’addormentò.
Quella notte Alice la ricorda come la notte più felice della sua vita.
Fu così anche perché quella notte sognò di scrivere il suo libro.
Il fatto interessante fu che quando si svegliò il libro era veramente scritto: quella fu la mattina più bella della vita di Alice.
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Giacomo -Prima Parte
Giacomo dette la tovaglia alla mamma gonfiando il petto, per dare forma solenne a quel gesto. Il sorriso della mamma fece abbassare gli occhi di Giacomo e lo riempì di serenità.
Accennò un sorriso anche lui, appena appena.
Il naso di Giacomo era curvo, verso destra, ma così curvo e grosso!
Si vergognava del suo naso e andava male a scuola, ci andava mal volentieri. Studiava tantissimo, ma quando era interrogato, abbassava la testa e prendeva brutti voti. Nelle prove scritte andava bene: testa bassa, rispondeva bene alle domande; prendeva sempre 10 ma non bastava mai o quasi.
Subiva i risolini dei compagni e correva a casa piangendo.
Soltanto il tenero sorriso comprensivo della madre riusciva a calmare il povero Giacomo.
Anche dopo aver consegnato la tovaglia: si sentiva cullato da un abbraccio invisibile.
Si fece baciare sulla gota, quella libera dal naso e andò in salotto “ricorda che è quasi pronto”.
Sapeva bene la mamma cosa stesse per fare Giacomo.
Partì come un treno velocissimo. Raggiunse il suo posto di comando e buonanotte.
Alzò la testa dal suo banco di lavoro e sentì un profumo strano: non era quello del pranzo, era lo stesso che aveva sentito dal fioraio, l’anno prima, con zia Ceci, per ordinare i fiori del funerale di Nonnasetta.
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Rimase stordito per un po’ e impaurito: la mamma non l’aveva ancora chiamato a mangiare.
Si alzò, si girò e scoprì di essere nel giardino più bello del mondo.
Giacomo non trovò motivo di preoccuparsi ulteriormente.
S’incamminò. Accarezzava una rosa a destra e tre margherite di là che, al tatto, cambiavano colore. Continuò a conoscere fiori e piante delle più meravigliose e di ogni specie, di ogni angolo di mondo, finché il buio non sopraggiunse veloce.
Anche se Giacomo non vedeva più le piante e i fiori, riusciva a percepirne le presenze a causa degl’intensi odori.
Presto il buio scese anche su Giacomo finché gli fu impossibile vedere se stesso. Buio più buio. Riusciva a vedere attraverso se stesso: buio.
Proseguì a camminare sorridendo anche se il timido, tenero sorriso non si vedeva. Poi sempre più veloce... e rideva correndo, più veloce...
Si fermò, all’improvviso, davanti ad un albero: allungò una mano e lo toccò e quello diventò come di cristallo. Ritrasse la mano e l’albero si frantumò in tantissimi pezzettini che assomigliavano alle goccioline delle onde sugli scogli. Il buio si illuminò. Tutti i pezzettini non caddero e continuarono a galleggiare davanti a lui come farfalle splendenti.
Giacomo si sentì sollevare lentissimamente: erano le farfalle fatate.
Durante il volo alcune di loro spiegarono in coro al passeggero cosa fosse successo loro in realtà.
Non riusciva a credere alle sue orecchie e neanche ai suoi occhi.
Ascoltava a bocca aperta e guardava impietrito.
“Mamma! –sussultò- ho liberato le fate dal sortilegio della Strega di Tramontana!”
“Vai a lavarti le mani, Giacomo, che è pronto in tavola”.
L'uomo che non crede alle favole
C'era una volta un prato, neanche bello, dove tutti andavano ad arrostire la Metta.
Quando arrivò il tempo delle città, quel brutto prato, fu uno dei primi ad essere stato sostituito con cemento e asfalto...
Al tempo delle città, nessuno arrostiva più la Metta, nessuno arrostiva più.
Si dice che andasse di moda un ballo che aveva solo quattro passi e tutti ne andavano matti, ma nessuno stava cercando un altro prato, nessuno arrostiva più.
Dove una volta c'era il brutto prato della Metta, costruirono una piazza, ai quali lati, sorgevano palazzi, un tempio religioso, una farmacia, un grande mercato al coperto e una banca.
In uno di questi angoli, per molti anni, ogni giorno stava sempre un signore.
A guardarlo sarebbe sembrato un uomo senza una casa e che avrebbe dormito dove avesse trovato un angolino sicuro. A parlarci o a sentirlo parlare, si sarebbe cambiato sicuramente idea: un Signore, un gran Signore.
I suoi racconti trasportavano gli ascoltatori verso angoli del mondo sconosciuti, favolosi.
Nessuno seppe di lui, se avesse avuto la casa o no, o una rendita... tutto ciò che si sapeva di lui si trovava tra le sue parole.
Arrivava in quella piazza intorno alle nove, dopo essere andato in giro fin dalle sei, con un bastone e un quotidiano, anche se forse non lo cambiava tutti giorni. Si metteva seduto a leggere, ma soprattutto, specialmente quando non aveva "avventori", passava ore a contemplare il cielo; il suo sguardo era veramente lontano. Interrompeva i suoi passatempi appena un bambino gli tirava il cappotto e allora... allora il cielo sembrava prendere altri colori, i pochi alberi facevano un altro rumore e gli occhi dei bimbi diventavano grandi il doppio, per non parlare di quelli degli adulti!
Nessuno di questi chiese mai di raccontare qualcosa; tranne uno.
Capitò una volta un giovane uomo un po' altezzoso uscito dalla banca, lo ascoltò per un'ora intera e si rivolse all'anziano: "Non raccontare favole, non abbiamo bisogno di questo. E io che ho sprecato un'ora della mia vita!"
Mentre stava andando via, il Signore rispose con voce ferma e sicura, quasi tuonante: "Queste non sono favole. Io... non credo alle favole"
Arrivarono presto le sei e si ritirò, come al solito, per la stessa strada; direzione: fuori città, verso la campagna.
Ottimo camminatore.
Nessuno di voi ha mai sentito parlare di quell'uomo e tanto meno ha potuto conoscerlo, ma l'unico adulto che ha osato chiedergli -direttamente- qualcosa, è proprio chi vi sta raccontando questa storia. Ho avuto veramente questa fortuna.
Non chiedete il suo nome, non lo ha detto nemmeno a me, diceva che non era importante e che invece due lo fossero davvero: una riguarda il perché sto raccontando e l’altra è, che da quando nessuno arrostisce più la Metta, nel brutto prato, tutti sono molto più tristi.
tetikali - 22:38 - 4 commenti - commenta | inizio |