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{ martedì 23 settembre 2008 }

un libro semplice,3

Ber lo scrittore –Parte Seconda

Ber sbuffò e quasi volò dalla poltrona al bagno: una doccia, fredda, avrebbe schiarito le idee.
Che cosa voleva Anto dopo tanti anni? "E’ una vita che non si fa né vedere né sentire".
Cantò, quasi, Ber sotto la doccia.
Alle 10 era pronto per uscire. L'auto, la provinciale, pezzetto di autostrada ed eccolo alla stazione. Erano quasi le 11 e Ber necessitava di un buon caffè!
Il bar della stazione era piccolo, ma caldo e accogliente. Entrò andando subito al bancone e solo dopo aver ordinato, notò un cappello familiare: "Anto!” gridò.
"Ber! –rispose Anto- che coincidenza, sono appena arrivato, ti avrei chiamato a momenti per invitarti a cena, che ci fai alla stazione?”
Ber, come i presenti, era rimasto a bocca aperta, alle parole di Anto.
Decise di soprassedere, per il momento almeno, e andare. Arrivarono all’auto in silenzio.

Dopo l’autostrada, dopo un rospo ingoiato di prepotenza, dopo un accennato schiarimento di voce, Ber ruppe il silenzio decisamente contrariato dall’avvenimento.
Anto non capiva le parole dell’amico e non nascondeva smorfie mimiche d’incomprensione.
“Cosa vuol dire 11 e 24? Di quale telegramma parli?”
“Ebbene, –prontamente Ber- hai voglia di giocare. Ne parleremo quando il tuo becco non puzzerà più di alcool, a cena, il momento giusto per ribagnarlo. Anto, credevo ti fossi dato una calmata! Alle 11 non puoi essere così carico...”
“Ma Be…”
Anto lo interruppe, ma lo sguardo di Ber lo gelò.
“A cena. Devo lavorare!”

Giunti a casa Anto si riversò nella camera degli ospiti, dove cadde in un sonno profondo; e anche in un sogno…
Ber, senza badare oltre al quasi-intruso, si vestì da lavoro e cioè, completo di lana e cotone, vestaglia amaranto, pantofole grigie, e si posizionò davanti alla macchina da lavoro.
Dopo qualche minuto riuscì a scordarsi, il necessario, della mattinata; batté qualche parola di riscaldamento: appunti sul suo umore, soprattutto: era una prassi costante. La mattina stava giungendo al termine, 12 e 51: “pranzo.”
Tale presa di coscienza lo distrasse prima che avesse battuto un tasto sul racconto progettato.
Non aveva per niente fame, ma un po’, conoscere bene il proprio metabolismo e un po’ la disciplina… i fornelli diventarono la meta successiva.
“Un’insalatina con cipolle magari, un po’ di formaggio fresco e mezzo bicchiere di vino -pensò a voce alta- Anto dorme, non lo sveglio, figuriamoci il tempo che mi farebbe perdere. Ce n’avrà fino alle 3 o le 4…”

Decisamente, Ber pensò a voce alta.

Durante il pranzetto frugale pensò al progetto.
Un giovane con pretese capacità di scrivere, troverebbe un manoscritto di una vecchia pazza.
Ber scovò la scena della vecchia e del manoscritto da un libro di canti di un poeta morto giovanissimo, francese.
Il ragazzo si sarebbe appropriato del manoscritto e, giusto il tempo di personalizzarlo un po’, lo avrebbe poi pubblicato a suo nome. Si sarebbe dato da fare per promuoverlo, cercare locali dove presentare l'opera. In una serata di queste, sarebbe stato avvicinato da una donna, inviata da un personaggio oscuro, che lo avrebbe sedotto. Arrivati a casa avrebbe incontrato, in un modo alquanto singolare, il signore oscuro. Ber era molto indeciso sulle altre parti del racconto. Pensava ad un incontro parallelo del ragazzo con la vecchia, dentro un fantasioso palazzo di giustizia... alla fine del corridoio, la vecchia, avvolta da fiamme blu, avrebbe donato gli occhi al ragazzo.

Giacomo –Parte Seconda

“Buongiorno” dissero le fate al Fungo-Banana, il quale rispose con la strana parlata da… Fungo-Banana: “Buongiorno! Chi siete che andate, dove?”
Venne avanti la fata Parlina: “Siamo le fate del Giorno e stiamo andando verso… Tramontana, è giusta la strada?”
Il Fungo-Banana cominciò a muovere le bucce parlanti e borbottò qualcosa, tipo “si si, io ve lo dico, Tramontana Tramontana”.
“Grazie” “Grazie”
“Grazie” “Grazie” “Grazie”…
“Grazie” “Grazie” “Grazie”…

e le fate continuarono a percorre la strada verso Tramontana.

Una volta lontane, il Fungo-Banana cominciò a roteare su se stesso e, con uno slancio, fece volare il suo cappello…
Regno di Tramontana era dominato da un monte, sul quale era stato costruito, tantissimo tempo prima, un castello.
Dopo quattro giorni di voli faticosi, le fate arrivarono al castello e, nel vederlo “Acci acci picchio e Lina”, si levò un coro “ma questo eccì ma questo ecciù… questo? Questo sarebbe eccimpete! Questo dovrebbe essere un castello acciumpete un castello?!”
Ed avevano pienamente ragione: una specie di paglia secca, “tiamìni” e lingue secche di lontre, ma non lontre normali…
Sembra che lì siano sempre piovute, piovute: lontre dal cielo, a grappoli, singole o a “gruppi di tre”.
E poi la forma… la forma di questo castello non è la forma di un castello!
Le fate fecero con pazienza tutte le fermate, prima di arrivare nella stanza Udienza della Regina.
“Sapevo del vostro arrivo e ho fatto moltiplicare i controlli, solo per complicarvi un po’ le cose.
Ebbene, ho accettato di ricevervi unicamente per chiedervi come avete fatto a scappare. Sapete… le mie spie sono molto efficienti.”
Fata Parlina, sempre lei, parlò per tutte.
“Una forza dall’esterno è penetrata…”

La regina allungò il braccio e ripeté la formula magica.

“Giacomo (?)! Giacomo, c’è zia Titta al telefono, dai che spende troppo.”
J, il bambino sottile

Ciao Ric,
è molto tempo che non ti scrivo. Va tutto bene. Qui la scuola inizia il 14. Da te quando? Non crederai mai a quello che mi è successo. Ti ricordi la prima estate che ci siamo conosciuti? Eravamo al mare. E ti ricordi anche che c'era un bambino, piccolo piccolo, magro magro e che lo prendevamo in giro? Ti sei perso un'estate con i fiocchi. Fiocchi? Scintille! Quel bimbo è tornato in vacanza qui, quest'anno. Sì. Hai quasi indovinato: abbiamo fatto amicizia. Devi essere contento: potremmo essere in "tre migliori amici". Veramente. Non crederai alle mie parole.
Un giorno m'ha portato a casa sua. Incredibile. Avresti dovuto vedere!! Fa dei quadri... sono incredibilissimi. Ah, mi sono dimenticato di dirti che si chiama J. J non è il suo nome vero ma tutti lo chiamano così, non so perché. Dicevo... sono andato a casa sua. Ho visto i quadri che fa: stupendosi! Siamo anche andati in cantina. "È piena di roba" mi diceva.
Era buio nelle scale. Quando ho acceso la luce Wow!: scatole, lampade, polvere, polvere e quante ragnatele! E ferri, bastoni, vecchi quadri, specchi, armadi, alberi. Sì , c’erano anche quelli, e chili e chili di bottiglie rotte, catene, corde, stivali e una collezione di cucù e delle radio vecchie vecchie. Non credo di aver visto tutto! Eppure ci abbiamo passato molti pomeriggi a tirar fuori, sfogliar libri e riviste vecchie e una volta abbiamo scoperto una tela tutta nera ,con una bella cornice, dietro ad un armadio . J ha detto subito "ci dipingo io, ci farò un bel quadro"
Sapessi che fatica a tirarlo fuori. Una coca era quello che ci voleva. L'abbiamo portato fin nella sua camera.
Il giorno dopo sono tornato e ho trovato J che saltava e rideva "vieni vieni! Vieni a vedere iuhu!"
Incredibile. Al posto di una tela nera ,c'era un quadro bellissimo. Si, immagino cosa pensi, anch'io ho pensato che l'avesse fatto in una sola notte. J mi ha raccontato che mentre stava pulendo e preparando la tela per il suo lavoro, si è accorto che il colore non rimaneva sulla tela ma copriva quello che c'era sotto.
Tutto funzionava al contrario...
Andrea arrivò da J tutto contento "ho scritto a Ric, ti ricordi di Ric? gli ho raccontato quello che è successo con il quadro.
Spero che non ti dispiaccia".
J, al contrario del giorno prima, non saltellava di contentezza. Si appo

tetikali - 14:12

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