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{ martedì 30 settembre 2008 }

un libro semplice

...Per il gatto fu l’ultimo giorno con Ber.

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Giacomo –Parte Quinta

C'era una volta un bosco stretto, molto stretto, tanto stretto che uno spillo faceva fatica a passarci.
Al centro di questo bosco c'era una botola piccina piccina piccina che portava a un villaggio abitato dalle fate.

Il villaggio era in mezzo al bosco, un bosco come quello di sopra, era quello il bosco di sotto, il sottobosco, insomma il sotto del bosco... o...

Le fate che abitavano il bosco sotto, sotto quello stretto, erano molto attive. Lavoravano tutto il giorno e non perdevano mai un attimo di tempo per riposarsi prima dell'ora del riposo notturno, anche se era assai difficile capire quando fosse giorno o quando notte. Era difficile stabilirlo soprattutto per gli abitanti di sopra, non per le fate.

Ogni fata aveva un lavoro proprio. Non usavano la moneta ma scambiavano semplicemente il proprio lavoro, con un altro di cui avevano bisogno.

Le fate sono famose per i loro poteri, per le polveri magiche e magari per essere dispettose. Dispettose, almeno, agli occhi degli abitanti di sopra che non conoscevano il mondo sotto il bosco. Ammesso che ci avessero creduto.

C'era la fata che lavava i vestitini, c'era la fata che consegnava la posta, lei era l'unica che lavorava di notte, perché era risultata invalida e quindi, per non perdere la pensione... non si faceva vedere. Nessuna lettera, vaglia, telegramma, bolletta della… luce, l'abbonamento ad… Alice o pubblicità, arrivò mai. In fondo era onesta. Era solamente una scusa per gironzolare quando tutte le altre dormivano. Non chiedeva niente in cambio.
C'era la fata che spuntava i cappelli a punta dell'estate. La sua mansione era molto importante perché sarebbero cresciuti a sproposito. Sarebbero inciampate, si sarebbero aggrovigliate e alla fine annodate e, dal momento che non sapevano di essere fate, non avrebbero potuto fare incantesimi; neanche per sciogliere le punte dei loro cappelli.
C'era la fata giardiniera, quella speciale, perché un giorno apparve una pianta strana che attraversava l'intero villaggio, dividendolo a metà.
Annaffia che ti riannaffia, crebbero anche i pomodori: San Marzano, cigliegini, da insalata e anche qualche baccello di fave.
Era diventata davvero una bella siepe, ricca.

Una mattina la fata giardiniera speciale, svegliandosi, si accorse che la siepe misteriosa era scomparsa.
Riunitesi intorno al grande fuoco per un'assemblea speciale le fate discussero una notte intera, un'alba intera, fino al crepuscolo intero: per giungere alla conclusione che non sapevano cosa fare. Era stata l'unica occasione per avere pomodori e odori diversi nel villaggio.

Dopo due o tre lune arrivò al villaggio un essere piccolo piccolo piccolo, ma non piccolo come le fate, le forme dell'omino erano quelle di un gigante.
"Mi sono svegliato una mattina in terra di Tramontana senza ricordare chi fossi. Ho cominciato a vagare qua e là, inciampando in ogni granello di sabbia, finché sono giunto qui da voi."

Un'altra riunione speciale si svolse quella notte, ma senza la presenza dello straniero. Lo lasciarono in disparte, sotto un fungo porcino. Bastarono due ore per capire che si trattava di un gigante, con la memoria persa per un po', dopo un sortilegio della Regina di Tramontana. Conoscevano bene la sua fama, anche se non ricevevano posta.

La mattina successiva chiamarono il gigantino di buon'ora e
spiegarono la loro intuizione. Lui non comprese granché di quelle parole ma si volle comunque fidare delle fate: dette loro completa fiducia.
In un attimo si trovò appeso per le bretelle ad un albero e tutte le fate assieme lo tirarono per i piedi verso il terreno. Tira... tira... tira... tira... tira... ma niente: si era allungato di due metri e dopo un sorriso di soddisfazione delle fate e un verso non raccontabile del piccolo sfortunato, si ruppero le bretelle e s'arrotolò come una tapparella ai rami dell'albero.
Per quel giorno il gigantino ne ebbe abbastanza e le fate avevano tutte le mani bruciate. I giorni passarono a tentare di allungarlo in ogni maniera: appeso al filo per stendere panni, agganciato al pozzo, attaccato ad una fionda usato come elastico…
Nessuno di questi metodi fu efficace. Alla riunione speciale successiva, partecipò anche l’ospite: parlarono tutta la notte, il grande fuoco scoppiettava e tutti i visi erano illuminati.
La fata zoppa si alzò per prendere un po' di idromele, bevanda delle fate usata solamente in occasioni speciali. Nel tornare inciampò e cadde ruzzolando in un tunnel fino a quel momento sconosciuto.
C'erano delle strane, mollicce piante verdi; giunse in fondo, dove trovò luce e un gruppo di fate. Queste informarono la pensionata che un Essere del mondo di sopra era venuto in contatto con il loro mondo e aveva poteri a sufficienza, forse, per sconfiggere la regina di Tramontana. La fata postina raccontò quello che era accaduto nel loro villaggio. Le fate, sapevano già del sortilegio subito dal gigante e del segreto delle fate lavoratrici. Si offrirono di accompagnarla e in un batter d'occhio e arrivarono al grande fuoco.

Quella notte fu grande festa per il ritorno della fata zoppa, per onorare le fate della Luce e per festeggiare la memoria tornata al gigante.
Nessuno volle perdere tempo: le fate lavoratrici, bagnando con l’idromele la barba del gigantino, riuscirono a portarlo a grandezza naturale: sembrava infinito era... gigantesco, appunto.
Da parte sua, il gigante, disse alle fate di essere fate e che avrebbero potuto anche fare qualche piccolo volo per arrivare fin lassù, davanti ai suoi occhi, per riuscire a ringraziarle.

Giacomo non sapeva cosa volesse dire questa favola ma lo faceva tanto ridere.

tetikali - 08:33

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