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sabisse lunedì 29 maggio 2006 16:58 | 1/10 |
Ci sono vite consumate nelle ore di pochi giorni. E ci sono giorni che ti segnano per tutta la vita, ti marchiano a fuoco, sconvolgendo un’esistenza apparentemente normale. Anch’io so cosa vuol dire vivere nell’incubo di quelle due ore di speranze tradite, sogni andati in frantumi, programmi di vita spazzati via dalla furia della violenza. Quello che ancora mi tormenta non è l’immagine pallida del mio corpo violato, ma la solita, maledetta domanda: perché? Ogni cosa accade per un determinato motivo, ad ogni causa coincide un effetto. E’ il mio…qual è? Non so ancora darmi una risposta. Forse il fato ha creduto la mia vita quel tanto banale da sembrare inutile. Oppure si è divertito a giostrarmi come un burattino, come un essere morto, scoprendo in me la vita, l’Essere, quella luce bianca, pura…portandomela via, per sempre. Il sole iniziava a scaldare i pensieri di una nuova estate che si avvicinava, e la primavera sembrava l’eterna amica di quiete e solitudine. Ero diversa, e non sapevo neanch’io il perché. Era come se sapessi che quel giorno sarebbe stato cruciale. Era un pomeriggio appena accennato, quando udì le grida degli amici provenire dal cortile per invitarmi nell’ennesimo, fantastico gioco. Eppure quel giorno i minuti passarono veloci, e non ricordo come capitai nelle grinfie di quei sorrisi che mi accompagnavano da quando ero piccola. Due ore da incubo. Di lacrime, di un coltello puntato alla gola. Forse è per questo che ho un fascino-timore delle armi bianche. Forse è per questo che un giorno mi ucciderò tagliandomi le vene. Ricordo solo la lama che mi scorreva addosso, gemiti di un piacere che io percepivo come dolore. Ansia. Paura. Umiliazione. Perché avevo scoperto che l’amore vero non esisteva. Perché il mondo intero mi aveva girato le spalle. Tornai a casa come un cane bastonato, combattuta dalla vergogna e dalla paura. Ma ad aspettarmi c’era solo un nuovo castigo di mia madre, per il mio ritardo. Piansi. Tanto, per giorni, mesi, anni. Ma a nessuno importava sapere il perché. “sono solo paturnie di una ragazzina capricciosa”, ecco come veniva definito il mio stupro. E iniziai a rimuginare sull’accaduto, dandomi ogni colpa possibile, spronata dai mille taboo che la mia famiglia mi costruiva intorno. Da quel lungo inverno del cuore sono passati lentamente 8 anni. Eppure ancora ricordo. Ricordo la desolazione di un’estate passata a cercare la fine, a trovare frammenti di coraggio per stringere tra le mani quelle lame che già mi avevano vista. Ma anche se vivevo e respiravo, la fine vera arrivò comunque, perché quello è stato e rimarrà sempre IL GIORNO IN CUI SONO MORTA. Sabina |
EL11100568 lunedì 29 maggio 2006 18:07 | 4/10 |
Se sei in grado di provare sentimenti, di ridere ma anche di piangere, se hai trovato anche una sola ragione per non ripetere quell'esperienza, se ti fa orrore stringere una lama ora significa che non sei morta! comunque molto carina la tua pagina di diario stai scrivendo un nuovo libro? |
NightShade sabato 3 giugno 2006 13:37 | 10/10 |
vorrei poter dire semplicente che " mi dispiace!!", ma devo anche aggiungere che ti capisco...capisco il dolore, l'ansia, la paura e l'umiliazione di cui parli...qualcosa che lentamente ti consuma da dentro...e tu nn puoi farci nulla...ai tuoi mille perchè..nn una risposta..ma un forte senso di colpa..che con il passare del tempo sembra ogni giorno sempre più grande e pesante! cresce in te la solitudine...la rabbia per una vita strappata troppo infretta ai giochi...cresce il disgusto per il genere umano..perdi la fiducia in chi ti stà accanto...ma peggio di tt perdi la fiducia nella tua persona ..trp anni sono passati e oggi posso finalmente dire di aver riscattato me stessa...di guardare al futuro cn serenità, di cercare nel prossimo nn il nemico da combattere, ma l'amico da amare...di dare luce ogni mattina a quella forza che mi ha portato fin qui... con una motivazione sempre più intensa di quella precedente...con il sorriso che per troppo tempo ho tenuto nascosto!... |