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napulitanboy lunedì 12 ottobre 2009 17:14 | 2/3 |
oddio... se sta sulle pall.e a parecchi, la domanda, formulata correttamente diverrebbe: è giusto tenerla attaccata sta benedetta macchina ? Ma prescindendo da battute sdrammatizzanti, considerato il tema delicato, ritengo che la questione meriti una soluzione particolareggiata... non si può pretendere di avere una risposta unitaria... il tutto va valutato, caso per caso...situazione per situazione( io, naturalmente mi scasso il cacchio di scrivere punto per punto, e quindi arronzo :P ). Non sta alla scienza, non sta alle religioni, non sta alla morale, nè all'etica dei professionisti che operano nell'ambito medico decidere come e quando staccare la spina. In uno stato laico e liberale quale siamo sempre soliti definirci ( ma che sempre + difficilmente dimostriamo d'essere) la decisione dovrebbe spettare a NOI... in quanto titolari di un diritto alla vita, che è sì indisponibile... ma indisponibile tanto per noi, quanto per chi ci " costringe " a vivere ( ma senza vivere ). Si al testamento biologico... si alle situazioni estreme ( in un senso o nell'altro ) in cui sono gli altri( parenti stretti ), nella nostra impossibilità, a decidere per noi. Si inoltre alla dichiarazione di volontà del testamento biologico come " condicio sine qua non ", nella misura in cui,se ho dichiarato mai di non voler restare attaccato alla vita con una macchina, lo stato decide per me, ritenendo implicitamente, che lo strumento di vita non venga staccato fino alla chiamata dell' Altissimo ( presunzione di legge insomma) |
fabioMD1960 martedì 20 ottobre 2009 17:47 | 3/3 |
Io parto da un approccio completamente diverso per valutare questo problema. Fermo restando che le questione etica e' delicata e potenzialmente foriera di abusi, io penso che la vera diatriba stia nella sincera valutazione dell'innata natura egoistica dell'essere umano. Saro' cinico, ma ritengo che il vero problema, in fondo in fondo, non sia solo l'essere che sta soffrendo e che dovrebbe o non dovrebbe essere lasciato morire. Dietro questa persona sul baratro tra la non vita e la morte, ci sono gli altri, ovvero coloro che volenti o nolenti sono impegnati verso il soggetto sofferente. E qui, a mio avviso, si innesca una questione delicata, che sempre vieno taciuta perche' scomoda, ma che deve essere considerata per non cadere nell'ipocrisia. Ovvero, mi domando: per coloro che stanno accudendo il malato, quanto e' diventata pesante questa situazione ? Mi ha molto colpito una considerazione che faceva spesso Krishnamurti verso chi gli diceva che la sua vita era stata spezzata da una perdita di una persona cara. Egli chiedeva sempre se il vero dolore era per chi era mancato o se era il dolore e l'autocompatimento di chi rimaneva e che gli stava facendo la domanda... Ovviamente queste mie valutazioni, sicuramente provocatorie, non esauriscono assolutamente la questione e in realta'sono solo una succinta proposta per un dibattito fatto su basi un po' piu' realistiche. Magari piu' ciniche, ma secondo me' piu' vicine, anche se non vorremmo ammetterlo, alla natura delle cose umane. |