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Pianto Antico
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
dà bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell'inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
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Il vino di Montepulciano
Satirelli
ricciutelli,
satirelli, or chi di voi
porgerà più pronto a noi
qualche nuovo smisurato
sterminato calicione,
sarà sempre il mio mignone ;
ne' m'importa, se un tal calice
sia d'avorio o sia di salice,
o sia d'oro arciricchissimo
purche' sia molto grandissimo.
Chi s'arrisica di bere
ad un piccolo bicchiere,
fa la zuppa nel paniere:
quest'altiera, questa mia
dione'a bottiglieria
non raccetta, non alloggia
bicchieretti fatti a foggia.
Quei bicchieri arrovesciati,
e quei gozzi strangolati
sono arnesi da ammalati:
quelle tazze spase e piane
son da genti poco sane:
caraffini,
buffoncini,
zampilletti e borbottini
son trastulli da bambini:
son minuzie, che racca'ttole
per fregiarne in gran dovizia
le moderne scaraba'ttole
delle donne fiorentine;
voglio dir non delle dame,
ma bensi delle pedine.
In quel vetro, che chiamasi il to'nfano
scherzan le Grazie, e vi trionfano:
ognun colmilo, ognun votilo:
ma di che si colmera'?
Bella Arianna, con bianca mano
versa la manna di Montepulciano:
colmane il to'nfano, e porgilo a me.
Questo liquore che sdrucciola al cuore,
oh come l'u'gola baciami e mordemi!
oh come in lacrime gli occhi disciogliemi!
me ne strasecolo, me ne strabilio,
e fatto estatico vo in visibilio.
Onde ognun che di Lie'o
riverente il nome adora,
ascolti questo altissimo decreto,
che Bassare'o pronunzia, e gli dia fe':
MONTEPULCIANO D'OGNI VINO E' IL RE.
A cosi lieti accenti,
d'edere e di corimbi il crine adorno,
alternavano i canti
le festose Baccanti:
ma i Satiri, che avean bevuto a iso'nne ,
si sdraiaron sull'erbetta
tutti cotti come mo'nne.
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Noi sia'n le triste penne isbigotite
Noi sia'n le triste penne isbigotite,
le cesoiuzze e 'l coltellin dolente,
ch'avemo scritte dolorosamente
quelle parole che vo' avete udite.
Or vi dicia'n perché noi sia'n partite
e sia'n venute a voi qui di presente:
la man che ci movea dice che sente
cose dubbiose nel core apparite;
le quali hanno destrutto si costui
ed hannol posto si presso a la morte,
ch'altro non n'e' rimaso che sospiri.
Or vi preghia'n quanto possia'n più forte
che non sdegn[i]ate di tenerci noi,
tanto ch'un poco di pietà vi miri.
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La sera del dì di festa
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or dà trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
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Deh, Violetta, che in ombra d'Amore
Deh, Violetta, che in ombra d'Amore
negli occhi miei sì subito apparisti,
aggi pietà del cor che tu feristi,
che spera in te e disiando more.
Tu, Violetta, in forma più che umana,
foco mettesti dentro in la mia mente
col tuo piacer ch'io vidi;
poi con atto di spirito cocente
creasti speme, che in parte mi sana
la dove tu mi ridi.
Deh, non guardare perché a lei mi fidi,
ma drizza li occhi al gran disio che m'arde,
ché mille donne già per esser tarde
sentiron pena de l'altrui dolore.
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