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Parole di conforto...
Regina di Ítaca:
Il mare è diventato ombroso ed i delfini piangono consegnandomi il tuo messaggio. Le tavole con le quali sta fatta la mia barca si affliggono perché molte di loro furono alberi che crebbero in Ítaca e si rattristano al sapere che soffri. Cerco e cerco tra le mie mercanzie qualcosa: un unguento di Persia, un giocattolo di Siriana o alcune di quelle inezie che fanno in Tartessos e che fanno che una persona, almeno per un momento, allegro il viso ed i suoi occhi non siano opachi come la ceramica di Esparta.
Forse quello che io porto nella mia barca non serva per chiudere le tue ferite, perché neanche sono riusciti a chiudere le mie. Tempo fa io non avevo una barca, ma era capitano di un snello e magnifico trireme, con cui conquistai lontane isole e mi sottomisi alle sue regine, trasformandomi nel suo amante e, quasi sempre, nel suo schiavo. Scoprii tardi chissà che essere schiavo è non essere niente e recuperai la libertà mille volte per tornare a perderla altre due mille. Per quel motivo mi disfai di quella galera ed acquisii questa piccola barca, perché non mi vendo oramai a me stesso, ma lo poco che ci sta in questo piccolo guscio. Sono povero, sì, ma liberi di offrire i miei dolciumi a chi ami vederli, non importa dove, perché presto o tardi il vento mi farà arrivare nel suo porto.
Afrodite non è oramai la mia guida, né Eros il mio consigliere. Ora è Atena chi guida i miei pensieri ed il mio codice è quello della mare: Non lasciare mai a nessuno alla deriva, per molto nemico che sia della tua patria in terra. Oggi oramai non ho nemici, perché a nessuno gli interessa rubare quello che vendo. Dicono i miei amici, alcuni di loro penso siano sirene mascherate, che domani non mi rimarrà niente per pagare a Caronte perché i miei prezzi sono di saldo, ma io so che non è così, che quello che ricevo in cambio dei miei pochi possessi è in abastanza come per tornare a riempire la barca e tornare di nuovo alla mare, cercando nuovi porti dove bandire le mie merci.
Le sirene ridono in lontananza. Sanno che mi è arrivato la bottiglia col tuo messaggio e si apprestano a raddoppiare i suoi cantici. Credono che pretenda di essere Ulisse... che cantino con tutte le sue forze, perché ho smesso di credere in loro. Le ho sentite tante volte che il suo cantico si assomiglia ogni giorni più al rumore delle onde o allo scricchiolo delle candele riempite per il vento.
Un'altra volta torno a mettere la bottiglia in mani dei delfini affinché la portino di nuovo alle spiagge di Ítaca. Loro ti diranno come mi sento triste per non poter alleviare la tua sofferenza, Penelope.
La mare è la mia patria; confida di nuovo la bottiglia ai delfini o da' il messaggio ai gabbiani. Loro conoscono le mie candele e sapranno trovarmi presto...
segnalata da Jasmine domenica 19 ottobre 2003
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