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categoria: Barzellette » pierino

La brutta pagella - pierino ritorna da scuola con una brutta pagella, il padre gli da un'occhiata e rivolto a Pierino: - Preparati a prenderle e intanto per entrare nel tema ti faccio qualche domanda sulla coniugazione del verbo "Menare", dimmi il passato remoto - e Pierino - Io menai - - Il futuro - - Io menero' - - Il presente - - Io mene - - No, somaro si dice io meno - - No, no, si dice io mene, io me-ne vado - e fugge via

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categoria: Poesie

Tu non sai le colline


Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
Vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline

9 novembre '45

Cesare Pavese

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categoria: SMS pronti » fidanzato-a

La luna non c'è più, è fuggita. Ha visto te, uno spettacolo tutto terreno. Qualsiasi cosa vorrai regalarmi sarà per me un tesoro; tu sei un Tesoro, inestimabile

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categoria: Barzellette

Ci sono due matti che decidono d'evadere dal manicomio per fuggire pero' devono scavalcare 100 muri: scavalcano, scavalcano, scavalcano stufatosi uno dice all' altro torniamo uindietro che mi sono stufato a scavalcare i muri

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categoria: Barzellette

Un orso è fuggito dal circo ed è in giro per la citta'. Dal domatore ai poliziotti, tutti lo cercano. Un passante, interrogato, dichiara di aver visto l'orso seguire una ragazza in una casa. In men che non si dica, gli agenti si portano sul posto. In silenzio spingono la porta, fanno passare il domatore. A un certo punto sentono: e adesso che sono stata gentile con te, mi vuoi regalare la pelliccia?

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categoria: Poesie

Alla Musa

Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando de' miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto

questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t'invoco; ohimè! soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
o Dea! tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.

Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.

Ugo Foscolo

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categoria: Barzellette » fortuna

Furbizia

Una notte un canguro fugge dal suo recinto allo zoo, e viene catturato dopo un lungo inseguimento.
Il direttore dello zoo fa alzare la staccionata del recinto da due a tre metri, ma il mattino dopo il canguro è di nuovo in giro; altra caccia, altra cattura, e la staccionata viene portata a cinque metri. Il mattino dopo il canguro è uscito di nuovo, e quando viene catturato e riportato nel recinto la staccionata viene portata a sette metri.
Un gorilla dalla gabbia delle scimmie osserva tutto il movimento e fa al canguro: "Ma scusa, fino a che altezza devono alzare il recinto per impedirti di scappare?"
"Ah, non basteranno cento metri, se continuano a lasciare aperta la porta..."

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categoria: Poesie

Nel grazioso tempo onde natura


Nel grazioso tempo onde natura
Fa più lucente la stella d'amore,
Quando la terra copre di verdura,
E li arboscelli adorna di bel fiore,
Giovani e dame ed ogni creatura
Fanno allegrezza con zoioso core;
Ma poi che 'l verno viene e il tempo passa,
Fugge il diletto e quel piacer si lassa.
Cosi nel tempo che virtù fioria
Ne li antiqui segnori e cavallieri,
Con noi stava allegrezza e cortesia,
E poi fuggirno per strani sentieri,
Si che un gran tempo smarirno la via,
Ne' del più ritornar ferno pensieri;
Ora è il mal vento e quel verno compito,
E torna il mondo di virtù fiorito.
Ed io cantando torno alla memoria
Delle prodezze de' tempi passati,
E contarovi la più bella istoria
(Se con quiete attenti me ascoltati)
Che fusse mai nel mondo, e di più gloria,
Dove odireti e degni atti e pregiati
De' cavallier antiqui, e le contese
Che fece Orlando alor che amore il prese.

Matteo Maria Boiardo - tratto da Canto Primo

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categoria: Barzellette

Mi sono imbattuto in mio fratello, oggi a un funerale. Non ci vedevamo da quindici anni, ma come al solito lui ha tirato fuori dalla tasca un manganello di plastica e ha cominciato a picchiarmi sulla testa. Col tempo comincio a comprenderlo. Ora mi rendo conto che la sua frase "sei un parassita schifoso da sterminare" è sempre stata detta con pieta', non con rabbia. Ammettiamolo: è sempre stato più intelligente di me, più spiritoso, più colto, più istruito. E' un mistero per me come mai continui a lavorare in quella tavola calda. Alla fine ho deciso di lasciare W. Perché è fuggita in Finlandia con un mangiatore di fuoco. Tutto per il meglio, immagino, anche se ho avuto un'altro di quegli attacchi dove comincio a tossire con le orecchie.

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categoria: Barzellette

Un commendatore seduto al circolo viene sollecitato a raccontare le sue ultime avventure di viaggio per un safari: "... il leone esce allo scoperto, lo prendo di mira accuratamente, proprio in mezzo agli occhi... e sparo! Cilecca. Un attimo di smarrimento e mi rendo conto che l'animale sta per saltare, ma, con sprezzo del pericolo e una freddezza che non mi sarei attribuito, invece di fuggire ricarico l'arma mentre il leone mi si avventa con le zampe tese e mi abbranca sulle spalle; un fetore orrendo esce dalla bocca...". Un fattorino arriva all'improvviso correndo: "Commendatore al telefono!". Con le scuse il Commenda si assenta per una lunga telefonata e quando torna si siede, completamente dimentico sulla poltrona. Gli amici lo guardano con aria di attesa e il Commenda chiede: "Dove eravamo?". "Una gamba di qui e una di la'...". Con aria confidenziale il Commenda allora conclude: "Che leccata ragazzi!".

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categoria: Barzellette » animali

Un topino cade in una botte di vino e sta per affogare.-"Aiuto!Aiuto! Qualcuno mi aiuti!" Un gatto lo sente ed accorre.-"Io potrei pure salvarti, pero' in cambio voglio mangiarti!"dice al topo boccheggiante. "Qualunque cosa...ma non voglio morire affogato..."Il gatto lo trae in salvo, ma il topo riesce a fuggire e s'infila in un piccolo foro del muro.-"Non hai tenuto fede alla tua parola.Avevi promesso che ti potevo mangiare."gli dice arrabbiato il gatto.e il topo dal suo nascondiglio: "Io ho promesso?Dovevo proprio essere ubriaco!"

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categoria: Barzellette

Due soldati Americani fuggono inseguiti dai Vietcong. Stanno per essere raggiunti. Allora decidono di stare immobili e far finta di essere alberi. Ma a un certo punto uno caccia un urlo e vengono catturati. "Dannazione si lamenta l'altro "non potevi fare a meno di urlare?" "Un momento quando il cane dei nemici mi ha pisciato su una gamba non ho detto niente, quando un nemico ha inciso sul mio petto lin pao ama fior di loto non ho detto niente ma non ho potuto fare a meno di urlare quando uno scoiattolo mi si è infilato tra le gambe e ha pensato: "belle queste noccioline, un la mangio adesso e un'altra la tengo per dopo"!! Baci stefy

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categoria: Barzellette

Un ragazzo deve sostenere un importante esame scritto all'universita'. E' preparato, ma affronta la prova con una certa tensione. Il professore è un'ulteriore fonte di paura: corre voce che abbia la mania di misurare attentamente il tempo dell'esame. Chi consegna dopo che tale tempo è scaduto, è bocciato. Il ragazzo scrive e scrive e non si accorge che il tempo è scaduto, e il professore non accetta il foglio. Inutile ogni protesta da parte dell'allievo, il quale lo prega in tutti i modi. La pila degli altri elaborati degli altri studenti è già sulla cattedra. In preda allo scoramento si dirige verso l'uscita dell'aula, ma poi si blocca, torna su i suoi passi e affronta il professore di petto: "Lei non sa chi sono io!" grida al docente. E il professore di rimando: "No, e non mi interessa proprio!". E il ragazzo: "Benissimo". Alza la pila dei compiti, infila il suo nel mezzo, e fugge a gambe levate.

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categoria: Frasi d'amore » lettere

Per Francesca Castellazzi - 29 Agosto 1900

Tante, tante cose ti vorrei dire che mi si affollano alla mente e mi gonfiano in cuore e che diventano fredde e sciocche nella carta.
Questo solo ti dico, che ti ho ancora e sempre dinanzi agli occhi, e ti accompagnano in ogni ora della tua giornata, e sento che mi manca la più cara e la miglior parte di me stesso.
Come hai fatto a prendermi così?
Quel viaggio che ho rifatto da solo, dopo averlo fatto insieme a te è stato una gran tristezza; ogni luogo, ogni pietra che abbiamo visto insieme mi ritorna dinanzi, e mi lega.
Le parole, gli atti, il tono della voce. Le parole che non dicesti e quelle che non osai dirti.
L'ombra che ti fuggiva nella fronte e gli occhi che guardavano lontano.
Ancora non mi dà pace di aver perduto questi giorni che avrei potuto passare ancora insieme a te, o vicino a te. E se non fosse la certezza di far pensare che son matto, farei il ballo del ritorno anche per un sol giorno. Beata te che sei così giudiziosa ed equilibrata!
Vedi che un po' d'equilibrio l'hai dato anche a me!
Però domani sera voglio essere a Milano, senz'altra dilazione e vuol dire che lontani per lontani guarderò almeno il posto dove ti vedevo passare dalla finestra.
Che sciocchezze, eh?
Ebbi la tua lettera come una carezza. Ma l'avevo aspettata tanto che sono andato ad aspettarla anche all'arrivo del corriere dall'Italia. Scrivimi al "Continentale" dal giorno del tuo arrivo.
Io non mi permetto di darti dei consigli, ma penso che se non potessi trovare l'alloggio per cui hai telegrafato, non sarebbe poi la fine del mondo se tu andassi all'albergo fin che avessi trovato di collocarti bene.
Ti bacio quelle mani che mi attirano e mi tengono stretto.
Addio.
Tuo Verga

Giovanni Verga

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categoria: Poesie

Lettera alla madre


"Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d'amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo." - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
"Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."

>

Salvatore Quasimodo

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categoria: Poesie

Alla primavera

Perché i celesti danni
Ristori il sole, e perché l'aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch'amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Vivi tu, vivi, o santa
Natura? vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane incerte ed al fiorito
Margo adducea de' fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva
Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te de' mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso

Giacomo Leopardi

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categoria: Barzellette

Cinque medici (un medico generico, un pediatra, uno psichiatra, un chirurgo e un anatomo-patologo) decidono di andare a caccia di anatre insieme. Ad un certo punto un uccello appare nel cielo e il primo a sollevare il fucile è il medico generico, ma non spara ed esita pensando: "Non sono sicuro che sia un'anatra; è meglio sentire cosa ne pensano gli altri". Nel frattempo pero' l'anatra vola via. Poco dopo compare un altro uccello nel cielo e questa volta il primo a sollevare il fucile è il pediatra. Ma anche lui non spara esitando un po' e chiedendosi: "Non sono sicuro che sia un'anitra e che non abbia un piccolo da sfamare. E' meglio fare prima degli accertamenti". Cosi' l'anitra ha il tempo di fuggire. Poco dopo è lo psichiatra che vede per primo un altro uccello. Non ha dubbi che sia un'anitra, ma si chiede: "So che questa è una vera anitra, ma chi in realtà conosce a fondo le anitre?". E cosi' anche questo fortunato uccello fa in tempo a volar via. Finalmente compare un quarto uccello e stavolta il chirurgo è il primo a vederlo. Alza il fucile fulmineo e spara; quindi si rivolge con non chalance all'anatomo-patologo e gli dice: "Va a vedere se quella che ho preso era un'anitra!".

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categoria: Poesie

La sera del dì di festa

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or dà trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

Giacomo Leopardi

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categoria: Poesie

Va per la selva bruna


Va per la selva bruna
solingo il trovator
domato dal rigor
della fortuna.

La faccia sua si bella
la disfioro' il dolor;
la voce del cantor
non è più quella.

Ardea nel suo segreto;
e i voti, i lai, l'ardor
alla canzon d'amor
fido' indiscreto.

Dal ta'lamo inaccesso
udillo il suo signor:
l'impro'vvido cantor
tradi se stesso.

Pei di del giovinetto
tremo' alla donna il cor
ignara fino allor
di tanto affetto.

E su'pplice al geloso,
ne contenea il furor:
bella del proprio onor
piacque allo sposo.

Rise l'ingenua. Blando
l'accarezzo' il signor;
ma il giovin trovator
cacciato è in bando.

De' cari occhi fatali
più non vedrà il fulgor,
non berrà più da lor
l'oblio de' mali.

Varco' quegli atri muto
ch'ei rallegrava ognor
con gl'inni del valor,
col suo liuto.

Scese, varco' le porte,
stette, guardolle ancor:
e gli scoppiava il cor
come per morte.

Venne alla selva bruna:
quivi erra il trovator,
fuggendo ogni chiaror
fuor che la luna.

La guancia sua si bella
più non somiglia a un fior;
la voce del cantor
non è più quella.

Giovanni Berchet

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categoria: Poesie

Semplicita'


L'uomo solo - che è stato in prigione -
ritorna in prigione ogni volta che morde
in un pezzo di pane.
In prigione sognava le lepri che fuggono
sul terriccio invernale. Nella nebbia d'inverno
l'uomo vive tra muri di strade, bevendo
acqua fredda e mordendo in un pezzo di pane.

Uno crede che dopo rinasca la vita,
che il respiro si calmi, che ritorni l'inverno
con l'odore del vino nella calda osteria,
e il buon fuoco, la stalla, e le cene. Uno crede,
fin che è dentro uno crede. Si esce fuori una sera,
e le lepri le han prese e le mangiano al caldo
gli altri, allegri. Bisogna guardarli dai vetri.

L'uomo solo osa entrare per bere un bicchiere
quando proprio si gela, e contempla il suo vino:
il colore fumoso, il sapore pesante.
Morde il pezzo di pane, che sapeva di lepre
in prigione, ma adesso non sa più di pane
ne' di nulla. E anche il vino non sa che di nebbia.

L'uomo solo ripensa a quei campi, contento
di saperli già arati. Nella sala deserta
sottovoce si prova a cantare. Rivede
lungo l'argine il ciuffo di rovi spogliati
che in agosto fu verde. Dà un fischio alla cagna.
E compare la lepre e non hanno più freddo.

Cesare Pavese - tratto da Lavorare stanca


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