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nasseriya
Nasseriya
La vita.
L’esistenza.
La morte.
Che scorrere, mai certo, sconcerto, sempre.
Morire. Quando, perché.
Fai, costruisci, erigi, rompi, distruggi, per cosa.
Mai chiedere. Non chiedere. La risposta può far male, tanto.
Io, figlio, padre, povero, ricco, chi sono, cosa sono.
Come sto, quando vivo, per cosa vivo.
Credo, non credo, perché… faccio, obbedisco, sempre… o quasi.
Assorbo quello che posso, elargisco quanto posso. Normalmente.
Sensazioni belle, brutte, definite, indefinite.
Penso. Questo è il dramma. Non dovremmo, ma dobbiamo, per restare vivi.
Vivi, ma per cosa.
24 ore al giorno, ti chiedi, ti imponi, rifletti, obbedisci.
I tuoi superiori, nel piccolo e nel grande. I superiori.
Vai, fai, e… torna.
Ma se non torni… è uguale, certo.
La differenza è che sei un eroe, per tutti.
Quasi per tutti, forse per coloro che ti devono considerare tale, perché è comodo, per tamponare le parole di disprezzo, di costernazione, di debolezza, di umana considerazione.
Ma i tuoi, quelli che contano, per loro, semplicemente, non ci sei più. Forse anche un eroe, ma non ci sei più. Solamente… ti ricorderanno.
Meglio un figlio “normale” vivo che un “eroe” morto.
Della pecora forse non apprezzi nulla, ti limiti a vederla, nella sua semplicità, nella sua modestia, nella sua limitatezza.
Del leone lodi la criniera, la forza, la fierezza… che fu.
Per me padre, si, è vero.
Per me uomo, no.
Ho lottato, e lotto per vivere, ma per cosa.
Voi avete vissuto e lottato per noi, per loro, per tutti.
Avete dato un senso alla Vostra esistenza, breve, troppo breve, ma intensa, troppo intensa.
Potessi mi cambierei con uno di Voi, che certo avrebbe da dare in misura grande.
E invece io sono qui e Voi in una bara, magari bella, di noce, preziosa, ma distesi, senza un alito di vita. Morti. Senza appello.
Meglio soli, in un viale coperto di foglie fradice, e col vento che ti sferza il viso, ma vivi, che esanimi, accompagnati nel fatidico viaggio da migliaia di persone, magari con un bel sole…
Non lo so. L’incertezza mi pervade. Però a me il vento e il freddo piacciono… e poi, non sono un eroe, non lo ero, e non lo sarò mai.
E le lacrime rubano spazio al raziocinio, fino ad esaurirsi, fino allo sfinimento, fino al dolore, che ti avvinghia il cervello, e ti fa capire tante cose che prima non prendevi neppure in considerazione.
Siete morti per un’azione selvaggia e sconsiderata, consapevoli del rischio, e forti nel viverlo.
Ora i forti devono essere quelli che restano. Non è facile, ma è più facile.
Per qualche giorno resterete eroi, poi forse neanche storia. Per quella ci vogliono i grandi numeri.
Nel cuore degli umili forse un po’ di più. Per adesso le lacrime, anche le mie.
Se è vero che esiste un altro mondo, etereo, costruito apposta per le disgrazie, allora Vi auguro di passare l’eternità con quella serenità che di sicuro non avete avuto finora.
Bruno
bigbruno - tratto da pensieri
segnalata da bigbruno martedì 27 dicembre 2005
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