In questa categoria oggi sono state inserite 204 poesie.
voti: 23; popolarità: 5; 0 commenti
Dal buffo buio
Dal buffo buio
sotto una falda della mia giacca
tu dici: "Io vedo l'acqua
d'un fiume che si chiama Ticino
lo riconosco dai sassi
Vedo il sole che è un fuoco
e se lo tocchi con senza guanti ti scotti
Devo dire una cosa alla tua ascella
una cosa pochissimo da ridere
Che neve bizantina
Sento un rumore un odore di strano
c'e' qualcosa che non funziona?
forse l'ucchetto, non so
ma forse mi confondo con prima
Pensa: se io fossi una rana
quest'anno morirei"
"Vedi gli ossiuri? gli ussari? gli ossimori?
Vedi i topi andarsene compunti
dal Centro Storico verso il Governo? "
"Vedo due che si occhiano
Vedo la sveglia che ci guarda in ginocchio
Vedo un fiore che c'era il vento
Vedo un morto ferito
Vedo il pennello dei tempi dei tempi
il tuo giovine pennello da barba
Vedo un battello morbido
Vedo te ma non come attraverso
il cono del gelato"
"E poi?"
"Vedo una cosa che comincia per GN"
"Cosa?"
"Gnente"
("Era solo per dirti che son qui,
solo per salutarti")
Giorgio Orelli - tratto da Sinopie
voti: 23; popolarità: 2; 0 commenti
Le sei del mattino
Tutto, si sa, la morte dissigilla.
E infatti, tornavo,
malchiusa era la porta
appena accostato il battente.
E spento infatti ero da poco,
disfatto in poche ore.
Ma quello vidi che certo
non vedono i defunti:
la casa visitata dalla mia fresca morte,
solo un poco smarrita
calda ancora di me che più non ero,
spezzata la sbarra
inane il chiavistello
e grande un'aria e popolosa attorno
a me piccino nella morte,
i corsi l'uno dopo l'altro desti
di Milano dentro tutto quel vento.
Vittorio Sereni - tratto da Gli strumenti umani. Uno sguardo di rimando
voti: 21; popolarità: 2; 0 commenti
Via
Palazzeschi, eravamo tre,
Noi due e l'amica ironia,
A braccetto per quella via
Cosi nostra alle ventitre'.
Il nome, chi lo ricorda?
Dalle parti di San Gervasio;
Silvio Pellico o Metastasio;
C'era sull'angolo in blu.
Mi ricordo pero' del resto:
L'ombra d'oro sulle facciate,
Qualche raggio nelle vetrate;
Agiatezza e onorabilita'.
Tutto nuovo, le lastre azzurre
Del marciapiede annaffiato,
Le persiane verdi, il selciato,
I lampioni color caffe';
Giardinetti disinfettati,
Canarini ai secondi piani,
Droghieri, barbieri, ortolani,
Un signore che guardava in su;
Un altro seduto al balcone,
Calvo, che leggeva il giornale,
Tra i gerani del davanzale
Una bambinaia col be'be';
Un fiacchere fermo a una porta
Col fiaccheraio assopito,
Un can barbone fiorito
Di seta, che ci annuso';
Un sottotenente lucente,
Bello sulla bicicletta,
Monocolo e sigaretta,
Due preti, una vecchia, un lacche'.
- Che bella vita - dicesti -
Ammogliati, una decorazione,
Qui tra queste brave persone,
I modelli della citta'.
Che bella vita, fratello! -
E io sarei stato d'accordo;
Ma un organetto un po' sordo
Si mise a cantare: Ohi Mari...
E fummo quattro oramai
A braccetto per quella via.
Peccato! La malinconia
S'era invitata da se'.
Ardengo Soffici - tratto da Intermezzo
voti: 20; popolarità: 1; 0 commenti
Il Rinato
Non videro la stella d'oriente
i magi, non andava innanzi a loro
ella per scorta su le nevi ardente;
non improvviso udiron elli il coro
dei Messaggeri in Betleem di Giuda
prostrandosi; non mirra, incenso ed oro
offersero alla creatura ignuda
sopra la paglia della mangiatoia
calda di fiati nella notte cruda;
né, curvi in calca sotto la tettoia
radiosa, i pastori di Giudea
intonarono cantico di gioia.
S'ebbe natività nella trincea cava il Figliuol dell'uomo; e solo quivi,
messo in fasce da piaghe, si giacea.
Fasciato di tristezza era tra i vivi
e i morti, solo; e il ferro e il sangue e il loto
erano innanzi a lui doni votivi.
E non piangea, ma intento era ed immoto.
Laude gli era il rimbombo senza fine
per il silenzio delle nevi ignoto;
cantico gli era il croscio delle mine
occulto; gli era aròmato il fetore
ventato su dalle carneficine.
E sanguinava in fasce; ed il rossore
Si dilatava come immenso raggio,
sicché tutti i ghiacciai parvero aurore,
tutte le nevi parvero il messaggio
dei dì prossimi, l'ombra fu promessa
di luce, il buio fu di luce ostaggio.
Ed intendemmo la parola stessa
del suo profeta: "Un grido è stato udito
in Rama, un mugolio di leonessa,
un lamento, un rammarico infinito:
Rachele piange i suoi figliuoli che non sono più.
Una cosa novella, ecco, è creata.
Il Signore ha creata una virtù
nella carne. Quel ch'apre la matrice
Ei farà santo. Ei semina quaggiù
una semenza d'uomini". Ora dicembre una voce: "Io farò rigermogliare
in carne i tuoi germogli, o genitrice.
Ritieni gli occhi tuoi di lacrimare,
ritieni la tua gioia del lamento;
perché come la rena del tuo mare
t'accrescerò, come la rena al vento
ti spanderò. Eccoti i tuoi figliuoli
moltiplicati dal combattimento.
Senza sudarii tu, senza lenzuoli,
li seppellisci ed io li dissotterro.
Rifioriranno ai tuoi novelli soli,
alla nova stagione ch'io disserro".
E quivi il Figliuol d'uomo era, il Rinato;
e quivi erano il loto e il sangue e il ferro.
E con fasce da piaghe era fasciato;
e sanguinava senza croce, come
per il colpo di lancia nel costato.
Ma "Colui ch'è il più forte" era il suo nome.
voti: 17; popolarità: 4; 0 commenti
Maravegiusi ingani
Maravegiusi ingani
dei fiuri che no' dura
dei nuo'li sensa afani
che navega per l'aria asura.
Me mai ve disdire'
de voltri he' senpre se',
e co' la mente inferma
più v'amo de la tera ferma.
Feste dei mili
che l'alto siel 'nbriaga
e pu'o un'ariosa maga
disperde i petali sutili;
primavera matana
ista'e che 'l cuor tu brusi,
sol che tu lusi
nel sangue che bacana:
senpre ve benedisso
co' boca tonda me ve lodo:
in ogni modo,
me vogio el vostro abisso.
Biagio Marin - tratto da El vento de l'eterno se fa teso
Sono presenti 6679 poesie. Pagina 24 di 1336: dalla 116a posizione alla 120a.
◄ indietro |
| avanti ► |